Bersagliere, LXVII Battaglione, fronte russo 1942
Chi si avvicina all’argomento ‘equipaggi di corazzati italiani’ scopre presto che è piu’ vario di quel che si possa credere. Infatti, non solo i carristi – nel Regio Esercito appartenenti alla fanteria, ma anche artiglieri, bersaglieri e cavalieri vennero a dusare sia autoblindo che carri armati nonché semoventi. Le circostanze portarono a combinazioni insolite, basti pensare per esempio al fronte orientale, che vide partecipare alle vicende del C.S.I.R. e poi ARMIR non reparti carristi veri e propri, ma prima cavalieri e poi anche bersaglieri. Attorno alla metà del luglio 1942, il carro leggero L6/40 fu il corazzato più diffuso su quel lontano e molto impegnativo fronte. Quelli utilizzati appartenevano al LXVII battaglione Bersaglieri Motocorazzato.
Questo reparto, costituito a Siena verso la fine del febbraio 1942 coi mezzi del Battaglione gemello LXVIII e personale del 5° e 18° Reggimento bersaglieri, era composto dal Plotone Comando e dalla 1 a e 2 a Compagnia – di 5 Plotoni ciascuna – ognuno con 5 carri per un totale di 58 mezzi. Alcuni di essi erano della versione ‘Centro Radio’ , assegnati in ragione di un paio al Plotone Comando. Erano carri di serie, ma dotati di una seconda radio ricetrasmittente (RF 2 CA) in aggiunta alla radio di normale dotazione. Assegnato alla 3 a Divisione Celere PADA (Principe Amedeo Duca D’Aosta), sue aliquote appoggiarono a fine agosto reparti del 5° Reggimento Alpini contribuendo a bloccare un attacco sovietico a Jagodniy. I risultati furono discreti, ma già pochi giorni dopo una compagnia riportò dure perdite in un attacco fronteggiato da semplici faciloni controcarro. A quanto sembra, non ci furono altri scontri degni di rilievo in seguito e men che mai contro corazzati avversari.
Ritirato dalla prima linea per riorganizzarsi in novembre, quasi a metà del mese successivo verrà fatto tornare al centro del lunghissimo settore tenuto dall’ARMIR, in un tratto rimasto scoperto e con le Divisioni italiane ‘Cosseria’ e ‘Ravenna’ già sotto pressione. I carri efficienti erano ben pochi, meno di una ventina, a causa della mancanza di rifornimenti e pezzi di ricambio, ed appoggiati solo da 22 cannoni tedeschi. Molti di essi andarono distrutti o catturati nei combattimenti a Gadjucja e Foronovo. I pochissimi mezzi superstiti confluirono in una colonna in ritirata, quella che arrivò il 28 dicembre alle linee arretrate di Skassirkaja, ma nessun L6 riusci’ a tornare in Patria.
Le uniformi
Confrontando le poche fotografie del reparto pubblicate sinora, è facile riscontrare che le tenute più diffuse vertevano attorno ai classici tuta e giaccone in pelle, portati con l’altrettanto classico casco da carrista, ovviamente munito del piumetto. Le tute appartenevano nella stragrande maggioranza dei casi al tipo in uso ancora prima del 1941, ovvero la ‘combinazione tela rasata turchina’ Esse erano di robusta tela blu, monopezzo con bottoniera aperta, col colletto chiuso a destra con un bottone, due tasche esterne sul petto e due interne a taglio sui fianchi. Alla vita era presente un cinturino chiudibile con due bottoni, assicurato sul retro con due cuciture e scorrente in due passanti. Alle estremità inferiori ed alle maniche, poco sopra agli orli erano fissate delle martingale abbottonabili , per meglio stringerle. Tutti i bottoni, compresi quelli di tasche e cinturino, erano in osso annerito. Sulle tute si portavano stellette di stoffa al colletto ed i gradi – galloni per i sottufficiali e graduati, galloncini per i marescialli, ma non fu raro vedere i galloni da sergente o caporale sulle maniche. Per gli ufficiali il grado, con o senza galloncino dorato, era portato su sottofondo grigioverde, sul petto a sinistra. La truppa portava i pratici gambali dei bersaglieri, in pelle nera, chiusi da cinghie allacciate esternamente in alto, e scarponcini in cuoio annerito. Sottufficiali ed ufficiali portavano stivali in cuoio naturale od annerito, con la tuta si portavano indistintamente da parte di tutti i gradi i semplici scarponcini d’ordinanza.
All’interno dei mezzi e spesso anche fuori, si portava un casco di protezione, adottato già dieci anni prima, in pelle nera e dal tipico bordo rinforzato a mò di ciambella; i suoi accessori erano un coprinuca ed un sottogola, che faceva anche da paraorecchie, entrambi in pelle nera. Il paraorecchie a destra aveva alcuni fori per facilitare l’uso della radio. Sulla tuta o sul giaccone si portava l’apposita bandoliera in cuoio grigioverde, a tre tasche, per la pistola Beretta 34 cal. 9; la fondina per pistola era anch’essa in cuoio grigioverde, agganciata ad una fibbia metallica. Era in uso che quella per armi montate, a tre tasche e per il resto molto simile a quella precedente. Sottufficiali ed ufficiali avevano il tipico cinturone con spallaccio e fondina, il tutto in cuoio naturale. Completavano l’uniforme gli occhialoni con armatura metallica, guarnizioni in gomma rossastra, lenti in celluloide – neutre od ambra scuro, intercambiabili, tenuti attorno al casco con un nastro elastico marrone.
Il figurino
Nella classica scala ’54 mm’ od in 1-35, ormai non mancano diversi figurini di carristi italiani in tuta, e per ricavarne una buona replica ‘bersaglieresca’ i lavori non sono per niente difficili, anzi. Le tute, naturalmente, in primis servivano a proteggere l’uniforme sottostante da grasso ed olio, elementi quanto mai diffusi all’interno del mezzo, salvando il salvabile. La scelta è caduta su di un figurino della Hornet, marca benemerita tra gli appassionati, che ancora anni fa sdoganò l’argomento delle uniformi italiane, con alcune realizzazioni di alto livello. Si tratta dello SC 4, denominato genericamente ‘Italian Semovente/Tank Loader’, dalla posa semplice ma non troppo statica, è un bel pezzo in resina, senza ritiri, bolle od imperfezioni, quasi uno spasso insomma. Per trasformarlo in bersagliere basta una testa con casco, piumetto e magari occhialoni, testa che per fortuna esiste già nel vecchio set della Criel – sempre in resina – generico per le teste italiane e quantomai utile per piccole conversioni come questa. Si comincia col lavorare leggermente un po’ tutta la superficie del figurino con delle fresette montate su trapano, allo scopo d’accentuare alcuni dettagli e per preparare meglio il pezzo alla successiva verniciatura. La testa originale va levata con cura, non si sa mai che possa tornare utile per altri lavoretti di questo genere. La nuova testa andrà inserita con l’aiuto di una fresetta, per scavare la resina e fare posto; la testa Criel si è adattata senza molto lavoro e senza bisogno di stucco, ma sarà utile infilare a caldo un perno metallico – basta uno spillo troncato – per rafforzare l’inserimento. Del ‘collo’ precedente resterà solo una piccolissima porzione, ovvero al camicia sottostante. Il lavoro è tutto qui, un classico esempio di lieve impegno che ci tiene sempre in allenamento…
Passiamo alla verniciatura, stendendo una mano di smalto grigio chiaro, lasciandolo asciugare perfettamente; solo in seguito stenderemo la prima mano per la tuta un blu-turchino ottenuto con una miscela di blu, marrone e grigio, sempre a smalto. Esistono ben poche foto operative a colori di tute, ma certo il blu non restava tale per molto, cosa diversa per casco ed occhialoni che perlomeno erano più facili d tenere puliti, per il primo si puo’ usare un nero a smalto con una punta di marrone. La bandoliera del figurino è nel solito cuoio tinto in grigioverde, mentre la fondina potrebbe anche essere anche in cuoio marrone. Dopo qualche giorno si possono applicare ombreggiature e lumeggiature. Per il viso, sarebbe meglio che ognuno trovasse una sua formula, ma se può essere d’aiuto alcune suggestioni le diamo. S’inizia col passare sul viso un tono carne scuro, con smalti Humbrol – Flesh 61, Natural wood 110 e Rosso 60, una volta ottenuta la miscela corretta la si divide in tre parti, che serviranno per le zone chiare, i mezzi toni e le ombre. Quello per le zone chiare s’ottiene aggiungendo del bianco con una punta di rosso, i mezzi toni sono già pronti – è in pratica la proporzione base – mentre per le ombre s’aggiunge Terra di Siena più una punta di Terra d’ombra bruciata. Si tratta ora di mettere il tono giusto al posto giusto. E’ importante decidere da dove far provenire – idealmente - la luce, perché la posizione dei vari toni dipende da questo.
Il piumetto sul casco è stato prima dipinto in verde molto scuro, poi lumeggiato appena appena con un verde più chiaro e vivo ed infine, con una puntina di verde ad olio, si è dato un tocco di lucidità. La basetta è quantomai semplice, essendo estate e per di più nella steppa ucraina stavolta basta un po’ d’erba di provenienza ferrmodellistica ed una scatola munizioni, in resina, abbandonata a completare l’ambientazione.
Andrea ed Antonio Tallillo
Bibliografia :
- Regio Esercito Italiano – Uniformi 33-40 – Corporazioni Arti Grafiche Roma 1978
- Uniformi e distintivi dell’Esercito Italiano 1933-1945 – Albertelli Parma 1981
- Uniformi e distintivi dell’Esercito Italiano nella 2 a Guerra Mondiale 1940-1945 – SME Roma 1988
- Mussolini’s Soldiers – Airlife 1995
- The Italian Army 1940-1945 (I) – Europe 1940-43 – MAA 340 – Osprey Publishing 2000
- I Bersaglieri 1836-2007 – Itinera progetti – Bassano 2008